Il ritorno inquietante della magrezza estrema sui red carpet
La silhouette che parla di dolore e pressioni inumane
Sui red carpet più glamour del mondo, tra veli di tulle e paillettes luccicanti, si insinua un’ombra affilata, sottile, talvolta silenziosa come una carezza, altre volte brutale come uno schiaffo: il ritorno della magrezza estrema. Una silhouette che racconta molto più del corpo che riveste e che si fa simbolo di un disagio profondo. Cannes, il Met Gala, i Golden Globe: eventi che dovrebbero celebrare l’arte e la creatività si stanno trasformando in palcoscenici di una muta sofferenza estetica. E la bellezza si misura in centimetri e il peso diventa una moneta di scambio per ottenere l’approvazione collettiva.
Demi Moore, Nicole Kidman, Victoria Beckham, Ariana Grande: donne straordinarie, talentuose, potenti, che però appaiono sempre più esili, sempre più leggere, fino a sembrare quasi sospese, svuotate. Un filo rosso invisibile le unisce, fatto di clavicole sporgenti, visi scavati e braccia che sembrano reggersi a stento. E tutto questo accade mentre, quotidianamente, si levano cori e campagne contro il body shaming. Si invocano accettazione e inclusività, si celebra la body positivity in ogni sua sfumatura. Ma poi le immagini, i video, i reel raccontano un’altra storia, cruda e dissonante. Una narrazione visiva e potente che suggerisce e impone un’estetica che non lascia spazio a pienezze, curve o difetti.

L’ipocrisia dell’estetica patinata e il volto della privazione
L’ipocrisia si veste di couture e posa sulle copertine patinate, mentre il dolore si camuffa sotto un contouring impeccabile. Il semaglutide, un farmaco nato per combattere il diabete e l’obesità. Viene sussurrato dietro le quinte come un’arma segreta per perdere peso in fretta. Poche iniezioni, qualche settimana, e il corpo si modella, si asciuga, si svuota. Ma svuotarsi di cosa, esattamente? Di grasso, certo, ma anche di vitalità, di espressività, di verità. Alcuni esperti parlano già di “braccia Ozempic”, “viso Ozempic”, come se la medicina avesse coniato una nuova estetica del dolore, un lessico visivo dell’estenuazione. In questo contesto, anche i sospetti o le conferme sembrano superflui, perché il punto non è solo chi lo usa, ma perché. Perché una donna adulta e realizzata si sente costretta a pesare 45 chili per salire su un palco? Perché la bellezza femminile continua a essere raccontata come una sfida contro il proprio corpo, anziché una celebrazione della sua complessità?
Il messaggio alle giovani: più ti annulli, più ti ammirano
Le giovani che guardano queste icone con ammirazione cieca assorbono il messaggio senza filtri: più ti annulli, più ti ammirano. Più sei invisibile, più diventi desiderabile. La sofferenza estetica, oggi, è travestita da eleganza, ma non c’è nulla di elegante nell’ossessione, nulla di chic nella privazione. È un racconto triste quello che i corpi delle dive ci stanno suggerendo, fatto di rinunce, pressioni e aspettative inumane. E in fondo, in questo paradosso, c’è tutto il ritratto del nostro tempo: mentre diciamo alle nuove generazioni che ogni corpo è bello, applaudiamo chi riesce a disfarsene, un pezzo alla volta.
A cura di Katya Malagnini
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