Cannes 2025: parole, corpi e immagini che sfidano il potere

La 78ª edizione del Festival di Cannes non ha messo in scena solo cinema. Ha scagliato parole, idee, pugni nello stomaco. Non ha chiesto consensi, ha chiesto coscienze sveglie. Robert De Niro, che ha ricevuto la Palma d’Oro alla carriera, ha scelto di usare il suo discorso come un grido politico: “Siamo una minaccia per gli autocrati e i fascisti di questo mondo”. Nessun filtro, nessuna carezza. Solo una verità sparata in faccia a una platea che non si aspettava un attacco così diretto.

Sotto gli applausi eleganti, si è mosso qualcosa di profondo. Un brivido. Perché Robert De Niro, con la sua voce tagliente, ha ricordato che l’arte non deve mai compiacere il potere.

Festival di Cannes 2025
Festival di Cannes 2025 ph wp

La presidente di giuria, Juliette Binoche, ha fatto tremare il palco già al primo giorno. Non ha sorriso per compiacere. Ha denunciato gli abusi nel sistema cinematografico francese. E poi ha letto una poesia scritta da Fatima Hassouna, fotoreporter palestinese uccisa a Gaza. Il suo gesto ha avuto il peso di un meteorite. Nessuna lacrima teatrale, ma una sala ammutolita.

Juliette Binoche ha lasciato cadere parole che bruciavano: “L’arte non consola, l’arte resiste”. E lì, su quel palco, il cinema ha smesso di essere rifugio. È diventato campo di battaglia.

La selezione ufficiale di quest’anno ha messo insieme diciannove film. Ogni storia porta una ferita, una rabbia, una domanda. Nessun compromesso, zero decorazioni. Solo realtà. Wes Anderson arriva con The Phoenician Scheme, e la sua estetica diventa trappola visiva per raccontare trame oscure. Julia Ducournau, regista già premiata, propone Alpha, un’opera che promette scosse emotive e fisiche. I fratelli Dardenne parlano di giovani donne e maternità nel loro nuovo film Young Mothers. La loro regia taglia la superficie e arriva dove fa male.

L’Italia non resta a guardare. Mario Martone presenta Fuori, un film che racconta l’esilio interiore di chi rifiuta di adattarsi. È un viaggio nei margini, dove spesso abita la verità.

Anche la Spagna alza la voce. Due film entrano in gara: Sirat di Óliver Laxe e Romería di Carla Simón. Portano in scena identità frantumate, riti collettivi, solitudini che si intrecciano con la memoria e la fede.

Due donne, due attrici, due sguardi forti e indipendenti. Kristen Stewart, alla sua prima regia, propone The Chronology of Water, ispirato alla vita intensa e ferita della scrittrice Lidia Yuknavitch. Il suo film è un flusso che scardina le regole, parla di dolore e metamorfosi, di corpi che reclamano spazio.

Scarlett Johansson risponde con Eleanor the Great, la storia intima e potente di una donna che, superati i sessanta, decide di ricominciare. Non da capo, ma da sé. Le due registe entrano nella sezione Un Certain Regard senza chiedere permesso. Occupano lo spazio con voce e stile.

Quest’anno il Festival di Cannes ha imposto un dress code più severo. Stop a scollature generose, trasparenze spinte e abiti troppo audaci. Ma le attrici non si sono fatte intimidire. Hanno giocato con le regole, le hanno piegate con creatività. Hanno sfilato sul red carpet con abiti che erano armature poetiche. Eleganza non vuol dire censura. Le scollature si sono trasformate in geometrie, i veli in manifesti. Hanno risposto con stile e con la testa alta.

Cannes 2025 ha scelto di guardare in faccia il presente. Ha parlato di guerra, di ingiustizie, di corpi violati e resistenze sotterranee. Non ha voluto distrarre, ha voluto scuotere. Ha proiettato una versione restaurata di La febbre dell’oro di Charlie Chaplin, ma senza rifugiarsi nella nostalgia.

Questo non è solo un festival. È una dichiarazione d’intenti. Il cinema, oggi più che mai, non si limita a raccontare: sfida. E nel farlo, ricorda a tutti noi che l’arte vera non accarezza, ma graffia.

A cura di Veronica Aceti

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