Hanami, sotto i ciliegi il tempo si ferma
L’hanami: un simbolo della bellezza transitoria della vita, che ci invita a meditare sulla fugacità e ad abbracciare il momento con riconoscenza
L’arte giapponese di ammirare la fioritura dei ciliegi
L’hanami è un’antica tradizione giapponese che celebra la bellezza fugace dei fiori di ciliegio (sakura). La parola significa letteralmente “guardare i fiori” e racchiude un profondo senso di contemplazione e malinconia, legato all’idea buddista dell’impermanenza. Ogni primavera, famiglie e amici si riuniscono sotto gli alberi in fiore per condividere cibo, sake e poesie, immergendosi in questo spettacolo naturale che dura solo pochi giorni. È un rituale di bellezza e consapevolezza, un invito a vivere il momento presente.
Un incanto che svanisce nel vento
C’è qualcosa di struggente nella fioritura dei ciliegi in Giappone, qualcosa che mi attraversa come un brivido leggero e mi lascia in uno stato di dolce malinconia. L’hanami non è solo il semplice atto di ammirare i sakura: è un rituale antico, un incontro con l’effimero, un abbandonarsi alla bellezza sapendo che durerà solo un soffio. Forse è proprio questo che mi incanta: la consapevolezza che tutto svanisce rende tutto infinitamente prezioso.
Immagino le rive del Sumida, a Tokyo, percorse da un fiume di petali rosati che il vento porta con sé, come se la primavera stesse sussurrando poesie nell’aria. Nei parchi di Kyoto, sotto la chioma leggera dei ciliegi, le famiglie e gli amici stendono i loro teli blu, bevono sake, ridono, cantano. Eppure, sotto la festa, c’è sempre un velo di nostalgia, una sorta di rimpianto per la bellezza che già inizia a sfaldarsi, un’eco del concetto di mono no aware—quella dolce tristezza per le cose destinate a svanire.
La leggenda di Yoshitsune e l’eterno ritorno dei fiori

Mi piace pensare alla leggenda di Yoshitsune e Benkei, due figure mitiche del Giappone feudale. Yoshitsune, giovane e bellissimo samurai, trovò rifugio una notte sotto un maestoso ciliegio in fiore. Il vento trasportava i petali nel cielo come neve rosa. Sapeva che la sua fine era vicina, che il mondo degli uomini non gli avrebbe concesso la pace, eppure si fermò, si sedette e contemplò quel fragile spettacolo. I fiori continuavano a cadere, indifferenti alle guerre e ai dolori degli uomini.
Questa storia mi fa pensare a quanto l’hanami sia più di una celebrazione: è una meditazione sulla caducità della vita. I sakura fioriscono per pochi giorni, si tingono di un rosa quasi irreale e poi, senza rumore, svaniscono. Ma ogni anno tornano, come una promessa. Un promemoria che la bellezza non è qualcosa da possedere, ma da vivere nel momento.
I gesti antichi del Giappone: il tempo dell’attesa
Il Giappone è fatto di gesti antichi, di rituali che sfidano il tempo. Penso al modo in cui i monaci shintoisti purificano il suolo con il sale prima delle cerimonie, o a come si beve il tè nel cha-no-yu, con movimenti misurati, consapevoli, senza fretta. C’è una sacralità nel vivere ogni momento con piena presenza, ed è questo che l’hanami mi insegna: fermarmi, respirare, guardare.
Nel parco, qualcuno accarezza il tronco nodoso di un ciliegio secolare, come se volesse assorbire la sua memoria. Qualcun altro sorseggia il proprio tè, in silenzio, lasciando che il vapore si mescoli all’aria profumata di primavera. E poi ci sono i bambini che corrono, che ridono, inconsapevoli del valore di quel momento, ma forse proprio per questo lo vivono in modo perfetto.
L’hanami e il senso del vivere: un frammento di Perfect Days
E poi, inevitabilmente, penso a Perfect Days, quel capolavoro di Wim Wenders che racconta la vita di un uomo semplice, un custode di bagni pubblici a Tokyo, che trova la poesia nei gesti quotidiani, nella luce che filtra tra le foglie, nei piccoli riti del mattino. Lui, che si sveglia sempre alla stessa ora, ascolta la sua musica su cassette consumate, osserva il mondo senza bisogno di possederlo.
Non è forse questo lo spirito dell’hanami? Guardare la bellezza senza trattenerla, lasciarla andare con la stessa gratitudine con cui l’abbiamo accolta. È la lezione più difficile da imparare: accettare il transito delle cose, la loro fine, e trovare in essa non dolore, ma pienezza.
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