Intervista allo scrittore Francesco Petrosino

Francesco, come il poverello di Assisi e, come Lui, ama la natura, anche se non ha mai pensato di “spogliarsi dei suoi beni”, che gli hanno consentito una vita comoda: cibi semplici (tipo Dieta Mediterranea), vestiario decoroso (rigorosamente non griffato) e utilizzo di tutti gli strumenti tecnologici atti a semplificare la vita quotidiana o il lavoro.

Francesco Petrosino, nato ad Altavilla Silentina, ha compiuto studi classici e poi si è laureato in Filosofia. Trasferitosi a Milano nel 1976, ha lavorato dapprima come insegnante e poi come dirigente scolastico. Attualmente è nella posizione di libero camminatore (leggi pensionato), subordinato solamente al Padreterno e alla moglie.

Francesco Petrosino

Compatibilmente con gli impegni professionali e familiari, ha curiosato spesso nei temi tenuti ai margini della cultura ufficiale (paranormale, reincarnazione, vita extra terreste ecc.) ed ha seguito con costante interesse le conoscenze raggiunte in Fisica e in Biologia negli ultimi decenni. In tempi più recenti si è dedicato allo studio di alcune posizioni teologiche contemporanee.

Grazie a queste incursioni (definirle studi sarebbe troppo), è riuscito a cogliere importanti punti di contatto fra Scienza e Religione, fra micro e macrocosmo, fra mondo fisico e sfera non fisica, punti di contatto che lascia intravedere in diversi passaggi dei suoi scritti.

Cosa ha pubblicato?

Ad oggi ho pubblicato tre raccolte di liriche: QUADRETTI DI PENSIERO, VIAGGIO, AMORE E DINTORNI. Ho curato, inoltre, FILASTROCCHE DELLA NONNA, non una raccolta di filastrocche classiche ma di composizioni popolari, alcune in dialetto vero e proprio, altre in “apparente” italiano, che circolavano nella mia terra di origine un centinaio di anni fa.

Quando ha iniziato a scrivere?

Ho iniziato a scrivere quando non sono stato più costretto a farlo, cioè una volta finito il liceo. In quegli anni mi tenevo lontano dalla scrittura, perché non amavo scrivere di temi che mi venivano imposti, che non sentivo. Tanto più che il professore di Italiano, ogni volta che ci dettava le tracce, sottolineava di averle “pensate la mattina stessa durante la seduta in bagno”. Forse non scherzava, forse diceva la verità.

Allora perché, poi, si è messo a scrivere?

Scrivere è una forte esigenza umana, rivelatasi fin dagli albori della civiltà. Al di là delle ragioni storico-economiche, l’uomo ha sempre e ovunque avvertito il bisogno di fissare, rendere stabili e concreti taluni suoi pensieri con segni grafici. Quando, poi, si sente l’esigenza di rappresentare un’emozione, allora la scrittura “diventa” poesia.

Io mi sono messo a scrivere quando mi sono accorto che certe emozioni, certe “visioni”, finché non le mettevo fuori, su carta, quasi mi tormentavano.

Successivamente mi sono reso conto che, “assemblati” adeguatamente, quelli che sembravano semplici sfoghi diventavano quadri di emozioni e di immagini, compiuti e significativi. Comunque scrivere anche solo per sfogo fa bene, è terapeutico; se, però, si vuole “fare letteratura”, bisogna avere una visione chiara e precisa della realtà, visione da cui trarre coerenti linee poetiche.

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Vuole illustrare, per sommi capi, la sua poetica?  

La mia poetica si è formata nel tempo e per gradi. Prende l’avvio dalla scoperta, in età giovanile, della presenza del dolore, della sofferenza e del mistero sia nella natura che nell’uomo (QUADRETTI di P.: Due novembre; Mistero e sofferenza. VIAGGIO: Il temporale). Osservo, inoltre, che corre un evidente parallelismo fra gli accadimenti naturali e quelli umani e che è possibile una sorta di sovrapponibilità dei processi umani a quelli naturali (QUADRETTI di P.: Similitudine). In questo periodo, inizialmente, ciò che descrivo non va oltre la fotografia del sentimento o dell’emozione; in un secondo momento si affaccia la speranza, una speranza “laica” che, davanti al dolore o al mistero, aiuta a non scivolare nella rassegnazione o nel pessimismo (QUADRETTI di P.: Speranza; Tanto del mio tempo).

Con la maturità, quella speranza mi spinge oltre, mi porta ad indagare e a cogliere punti di contatto, analogie, intrecci fra verità sapienziali, scientifiche e religiose. Nascono così liriche in cui parlo di Assoluto ed Energia, Abisso e Caos, Cosmos e Verbo/Logos, micro e macrocosmo, storia naturale e civiltà (VIAGGIO: Cuore e ragione, Io e il creato, Le stelle, Crealuzione; AMORE e DINTORNI: Onde e nubi, Lungo il fiume.). In queste coincidenze, inoltre, io vedo un processo dialettico che va continuamente alla ricerca del meglio, del bene, del giusto. Di conseguenza, ammettendo questo processo, crolla l’incompatibilità tra la teoria della creazione e quella dell’evoluzione, in quanto la creazione risulterebbe ancora in atto e l’evoluzione, quindi, una creazione continua (VIAGGIO: Crealuzione). Motore di tale processo, motore già presente e operante fra le particelle subnucleari primordiali, è una forza che possiamo chiamare Amore e che sembra avere la finalità di creare relazioni armoniose fra tutti gli elementi della realtà (VIAGGIO: L’amore, Crealuzione). 

Francesco Petrosino
Si può parlare di “ottimismo cosmico”? 

Ritengo di sì. In questi ultimi anni di maturità avanzata, mi sono dedicato a scrivere dell’amore più evidente e più complesso, quello fra gli umani. Ho composto, quindi, liriche che rappresentano alcune delle innumerevoli vie e forme attraverso le quali si manifesta l’amore ed ho altresì descritto situazioni in cui l’amore è finito (VIAGGIO: Innamorati, Canzone in sordina, Puoi; AMORE e DINTORNI: Amore corrisposto, Ad una amica, Pensiero bellissimo, Amore sociopatico). L’Amore, però, non muore: l’Amore abbandona un sistema relazionale per andare a costruirne un altro migliore (QUADRETTI di P.: Aridume; VIAGGIO: Crealuzione). 

Voglio segnalare, infine, che in tutte e tre le raccolte sono presenti alcune liriche “rabbiose”, per rappresentare senza veli la delusione d’amore dal punto di vista maschile. Ammetto di aver usato usato un tono forte ed un linguaggio molto crudo, ma, credo di non aver mai fatto emergere tentazioni “femminicidarie”. Anzi, lo sfogo verbale fa sbollire la rabbia e, quindi, annulla l’insorgere di impulsi di vera e propria violenza.

Ha trattato solo questi temi? 

No, ho esaminato, anche se in misura contenuta, anche altri sentimenti, riguardanti la nostalgia, la solitudine, la guerra (QUADRETTI di P.: Il tarlo, Guerriero duemila; VIAGGIO: Angolo di mondo; AMORE e DINTORNI: Mezzopero). E mi sono divertito a comporre pure degli “scherzi”, come Ode all’aglio, Pensionanda ganza… 

Come si è regolato con le norme stilistiche?

Non sempre il verso risponde a precisi schemi metrici. Il linguaggio, a volte, è volutamente ambivalente: ogni verso racchiude un significato letterale, circoscritto, ed uno più ampio e collegato al tema della lirica. E se i termini spesso appaiono decisamente forti, ciò è dovuto al fatto che voglio colpire, stimolare la sensibilità e la riflessione con un verso che, pur avulso dal contesto, mantiene una sua musicalità interna ed un significato autonomo. L’unica regola, che ho sempre rispettato, è stata quella di esprimere il mio sentire in modo spontaneo e senza imbrigliamenti.

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