Centro estetico MyStudio di Maria Laura Matthey eccelenza in italia.

Maria Laura Matthey è figlia d’arte, ed è cresciuta a pane e beauty. Dermopigmentista di grande esperienza è particolarmente legata al concetto di creatività e della continua evoluzione, che usa anche per dimenticare le difficoltà e la noia.

Nel suo My Studio nella sua storica sede di via dei Mille 16 a Napoli, Maria Laura Matthey si impegna per offrire un’esperienza armoniosa per lo spirito, la personalità e il corpo delle sue clienti. Non si sente affatto arrivata, nonostante i trent’anni di carriera e i riconoscimenti, tanto che, oltre che come giurata nelle competizioni, a marzo si metterà in gioco gareggiando lei stessa, per sfidare i suoi limiti.

Maria Laura Matthey
Carlo e Maria Laura Matthey con Liliana Paduano

Come è nata la tua passione per l’estetica?

«Sono figlia d’arte. Mia mamma è Liliana Paduano, una donna che negli anni sessanta ha fatto una vera e propria battaglia, per dare a questa categoria un riconoscimento. Faceva la pulizia del viso nel retro di una profumeria, a quei tempi non esisteva un’identità professionale. Passavo i pomeriggi con lei a imparare e assistevo a queste trasformazioni che mi lasciavano a bocca aperta. Mio fratello è un genio del marketing e ha creato un brand intorno al nome di Liliana Paduano».


Cosa ti appassionava in particolare del suo lavoro?

«Ho sempre avuto una forte passione per i volti umani, per gli sguardi. A 17 anni chiesi a mia madre di mandarmi a Parigi, per fare un corso di trucco permanente, che all’epoca era di nicchia, contrariamente a oggi. Quando ho iniziato eravamo in tre in Italia. In realtà volevo semplicemente lavorare sulle mie sopracciglia, non intendevo intraprendere la professione, ma tornata a Napoli, mia madre, consapevole delle mie abilità con il disegno e con il trucco mi fece lavorare i sabati nel suo salone. Così m’innamorai del concetto di migliorare la vita degli altri».

Sono le clienti a chiedere come vorrebbero essere o si affidano a te per essere interpretate secondo il tuo talento?

«Il 90% fa fare a me, solo che quando escono e mi dicono “Che bello, mi hai trasformata, mi sento un’altra persona” in realtà, io faccio l’inverso. Le osservo quando entrano e vedo che non sono come dovrebbero essere, quindi rimetto a posto le cose seguendo la natura! Ci sono varie scuole di pensiero: quella dello stereotipo, che tende a portarci verso un unico modello e quella della natura, nelle sue infinite sfumature, magari, anche nell’evidenziare una caratteristica. Il mio approccio lavorativo appartiene alla seconda». 

È difficile lavorare su un volto senza intaccarne le caratteristiche? 

«È importante mettere in evidenza il linguaggio espressivo. Su una ragazza acqua e sapone rispetterò la sua natura. Al tempo stesso, su una ragazza tutta tatuata e piena di orecchini oserò un po’ di più, perché anche in questo caso, così facendo rispetterò la sua natura. La naturalezza abbina la tecnica, l’estetica, l’anatomia e l’identità del soggetto».

Maria Laura Matthey


Qual è il dettaglio che cambia l’espressione?

«Le sopracciglia, a seconda delle quali, un volto può sembrare triste, spensierato, disteso o nervoso. Purtroppo ho visto molte persone tatuale male, che si portano sul viso un’espressione indelebile che è in discordia con la loro identità. Vedere continuamente l’immagine di un volto teso allo specchio, inevitabilmente condizionerà lo stato d’animo. I dermopigmentisti fanno un lavoro permanente, non è semplice trucco, abbiamo la responsabilità di lasciare un segno indelebile sul volto».

Una grossa responsabilità!

«Assolutamente e a proposito dei dettagli, oltre alla mia attività e oltre ai corsi ho intrapreso una ricerca artistica, su quanto l’espressività incidesse sul volto. Il detto “Mens sana in corpore sano” è vero ma è anche vero il contrario e questo mi ha spinta a fare una ricerca artistica dei volti. Poi, in una collezione seguente che ho chiamato “Il terzo occhio” mi sono concentrata sugli occhi, come concetto d’interiorità. Lo sguardo, per me è sempre stato un percorso tra il mondo esteriore e quello interiore. Ho lavorato cinque anni a questa collezione e ne sono particolarmente orgogliosa».

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C’è anche una sfumatura sociale del tuo lavoro. Ce ne vuoi parlare?

«Ci sono persone che vengono da me non solo per un fattore puramente estetico, per essere più belle ma perché ne hanno bisogno. Persone che soffrono di alopecia, persone che hanno avuto incidenti o che sono stati sfigurate. Pazienti oncologiche. Lo faccio per dire che per loro ci sono e metto a loro disposizione le mie capacità. Per esempio ricostruisco in 3D l’areola del seno dopo una mastectomia. È un lavoro artistico che ricrea qualcosa di reale ma che manca e può cambiare lo stato d’animo della persona.».

A cura di katya Malagnini

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