Maria Paola Guarino: “Il tempo è la sostanza di cui sono fatto”
Maria Paola Guarino, docente nella scuola secondaria superiore, nel suo nuovo libro racconta la vita all’interno del carcere. “Il tempo è la sostanza di cui sono fatto” nasce proprio dagli scritti dei suoi “alunni-detenuti”.
Maria Paola come hai accostato il tuo lavoro di docente al carcere di Livorno?
Fin dal 1975 si è data la possibilità ai detenuti, per attuare la loro “rieducazione”, di frequentare oltre alla scuola dell’obbligo anche la scuola media superiore, per avere la possibilità di un accesso universitario. Quando l’Istituto in cui insegnavo italiano e storia si è aperto alla C.C. della mia città, Livorno, per offrire ai detenuti dell’A.S.1 la possibilità di diplomarsi, sono stata incuriosita dall’idea di poter avere contatto con un mondo per me, fino ad allora, inaccessibile. Il mio interesse era determinato dall’opportunità di mettermi in relazione con persone di cui facilmente, una volta condannate, ci vogliamo dimenticare. Persone quindi che diventano una sorta di invisibili della nostra società.
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In questo libro racconti quella che è la vita in un Carcere Circondariale. Cosa volevi comunicare con la tua esperienza?
E’ interessante notare come la cultura di chi è recluso modifichi completamente l’esperienza esistenziale. Desidero comunicare come la scuola aiuti ad essere liberi psicologicamente e poi, di conseguenza, fisicamente. La scuola applica gli stessi insegnamenti che seguono le persone libere sia a livello sociale che culturale. A mio avviso conoscere la vicenda di tante persone condannate può essere utile sia ai ragazzi che si affacciano alle esperienze della vita sia agli stessi detenuti.
Come mai hai sentito l’esigenza di scrivere le tue considerazioni in questa opera letteraria?
Dagli elaborati dei detenuti trasudava dolore, per cui pensai che potesse essere utile far conoscere certe riflessioni. Non volevo parlare di loro come di detenuti, non conoscevo le loro colpe né volevo conoscerle; volevo solo parlare dei miei alunni. Non ho mai pensato di far credere che le condanne che hanno ricevuto siano ingiuste: non conoscevo le loro colpe e non ho mai voluto giudicare le loro condanne.
Ti sei trovata di fronte a un mondo a te così sconosciuto?
I detenuti mi hanno mostrato, nel lungo periodo del nostro lavoro scolastico, un volto diverso rispetto alle immagini che i mass-media ci avevano presentato. Talvolta mi sono anche stupita di fronte a coloro che continuavano a progettare culturalmente il loro tempo e in questo modo potevano volare, con lo spirito, oltre le mura carcerarie, collegandosi con professori, giornalisti e Monsignori.